IL CALCIO DI DAVID SASSARINI: IDEE, LAVORO E SENTIMENTO.

Il calcio non è un gioco silenzioso, neppure in allenamento. I giocatori si chiamano, imprecano e si spremono con un impegno totale, sotto lo sguardo attento di David Sassarini. Il mister  osserva, quando serve urla qualcosa, poi ferma il gioco e insegna, spiega, pretende. La Vis Pesaro suda e lavora duro. Intorno al campo una piccola folla, non solo di tifosi ma anche di addetti ai lavori e tecnici, segue con attenzione. E’ inevitabile che la squadra che esprime il gioco più spettacolare ed efficace nel girone desti tanto interesse. Non ci sono segreti ma lavoro, conoscenze, professionalità, idee e passione. Di questo vorremmo parlare con David Sassarini, di La Spezia, quarantaquattro anni, la vera rivelazione del girone F di serie D.

Cominciamo dagli inizi, Sassarini calciatore…

Per un problema fisico alla tibia mi avevano detto che non avrei potuto giocare a calcio, così per amore dello sport corsi in bicicletta, fino a vent’anni. Risolto il problema ho giocato un paio di stagioni in squadre di serie D e Eccellenza. Poi visto che mi sono ritrovato in Prima Categoria ho pensato che forse non ero un grande giocatore. Nel frattempo stavo facendo l’ISEF e mi divertivo a fare l’allenatore di calcio a livello amatoriale, la cosa mi piaceva parecchio e mi ha coinvolto sempre di più. Ho iniziato dalla Prima Categoria, vincendo, poi due anni gli Allievi nazionali del La Spezia, ancora Promozione, vincendo, Eccellenza, vincendo ancora, così è iniziata”.

Quando la passione è diventata scelta di vita e professione?

“La svolta fu nel 2008 quando mi chiamò la Pianese. Allora vivevo a Viareggio, facevo il contabile in una ditta, per andare a Piancastagnaio erano tre ore di auto. Presi l’aspettativa e mi dedicai a tempo pieno al calcio. L’anno dopo vincemmo il campionato di Eccellenza e in  quello successivo il quinto posto in serie D.”

Ora tu sei un allenatore apprezzato ed addirittura studiato dai tuoi colleghi, il tuo calcio ha una fisionomia ben precisa ed idee molto efficaci. Hai avuto dei maestri a cui ti sei ispirato o è stata un percorso di idee ed esperienze?

“E’ stato un lungo percorso di formazione e di idee ad iniziare dalla laurea di Scienze Motorie, dove ho conosciuto le metodologie dei migliori preparatori, passando per lo studio di tanti allenatori, per esempio nel 90-91 prendevo il treno per andare a vedere gli allenamenti del Foggia di Zeman, ma questa è solo la punta dell’iceberg, ho visto gli allenamenti di tutti gli allenatori di serie A, le preparazioni, sono andato all’estero a studiare calcio, Olanda, Spagna, Inghilterra, è stato un cammino di venticinque anni di conoscenza.”

Potremmo dire che non si inventa nulla…

“Posso dire di avere fatto tesoro di tante esperienze passate. Ciò non vuol dire che non si commettono errori, tante cose fatte bene, altre fatte male, esperienze negative e positive. Si impara da tutto. Mi rendo conto ora di avere una idea di calcio, non so se vincente o perdente, migliore o peggiore di altre, ma sicuramente mia.”

Quali sono i valori del tuo modo di concepire il calcio?

“Uno è senz’altro il rispetto, sia da parte mia che dei giocatori che ho in squadra. Poi voglio sviluppare un atteggiamento costruttivo ed efficace, non mi sono mai piaciuti i furbi, chi sfrutta e distrugge, piuttosto dobbiamo avere un atteggiamento positivo  per raggiungere risultati attraverso il lavoro. E’ chiaro che questa concezione di calcio sia più difficile da sostenere, è più facile sfruttare le situazioni, essere conservatori. A me piace una squadra che ha una sua identità, che prende i suoi rischi, gioca e possibilmente fa divertire. Dico possibilmente perché non sempre si riesce, però ci si impegna per raggiungere questo obbiettivo”.

In che senso è difficile da sostenere?

Una idea propositiva è sempre molto difficile da sostenere nei momenti negativi, proporla inizialmente, non puoi metterti in discussione se una partita va male o se un giocatore non fa bene. Troppo comodo. Piuttosto lavorare molto su quello in cui credi, altrimenti vuol dire che non hai una identità e di conseguenza si perde credibilità all’interno dello spogliatoio, nel gruppo di lavoro, in società. Deve esserci la consapevolezza che per ottenere risultati attraverso le prestazioni è necessario tempo e lavoro”.

I tuoi allenamenti sono caratterizzati da una grande intensità e qualità di lavoro. I giocatori partecipano impegnandosi al massimo. Quali motivazioni bisogna avere per ottenere questi risultati?

“Per avere una forte motivazione si deve avere una grande ambizione. E l’ambizione la devi trasmettere. Magari c’è chi la ha intrinseca o chi no. Ma prima della motivazione c’è l’emozione. Il sentimento con cui fai le cose, la voglia di migliorarsi costantemente, questo cerca il mio gruppo di lavoro. Non conta se giochi contro questa o quella squadra, noi dobbiamo cercare in tutti gli allenamenti di migliorare costantemente”.

Ti sento parlare spesso di ‘sentimento’ e ‘maturità’, sono concetti importanti per la tua squadra…

“Per migliorare e fare bene negli allenamenti e quindi in partita dobbiamo andare in campo e dare il cento per cento di noi stessi. I giocatori devono avere una mente molto aperta perché non è nel bagaglio delle esperienze passate che si continua ad essere calciatori ma in quello che si va ad imparare ogni giorno. Se un giocatore non ha più voglia di imparare è destinato a non crescere. Ma comunque sono loro i protagonisti. Loro hanno voglia di fare, di andare, mettono impegno, intensità. Io metto le idee e loro credono in quello che fanno. Lo provano ogni domenica.

Quanto è importante essere un gruppo, un team affiatato nel gioco del calcio?

“C’è una bella differenza tra essere un gruppo ed essere una squadra. Ci sono gruppi che non si possono guardare. Io penso che la mia sia una squadra, sa quello che vuole ottenere, e se qualcuno sbanda ed esce  c’è subito chi lo riporta entro i binari giusti. Naturalmente siamo ancora in costruzione, dico spesso ai miei giocatori che possiamo fare di più, molto di più di quello che stiamo facendo. Possiamo migliorare tanto,  nel pensiero e nella sua realizzazione”.

Quali sono gli obbiettivi, al di là della classifica, di questa squadra?

“Quello che abbiamo sempre detto: giocare bene, migliorare costantemente, far divertire la gente e poi a fine stagione alzare la testa e vedere quello che abbiamo ottenuto”.

L’estate scorsa hai deciso di venire a Pesaro. Dopo i primi contatti cosa ti ha convinto definitivamente?

“A me Pesaro è sempre piaciuta tantissimo, mi ha sempre affascinato, così come la riviera adriatica. Poi il misurarmi in un girone che non avevo mai fatto, difficilissimo e stimolante professionalmente. La possibilità di costruire qualcosa che inglobasse la mia mentalità. Ho pensato: città bella, pubblico eccezionale per calore e potenzialità e motivazioni nuove. Città e pubblico sono stati i cardini della scelta”.

Ad inizio campionato, quando dopo le prime due o tre partite avevamo qualche difficoltà, cosa hai detto ai tuoi giocatori per innescare la svolta verso i risultati attuali?

“Ho detti ai ragazzi che dovevano prendere consapevolezza dei valori che venivano dal nostro lavoro, che magari quei punti ci sarebbero mancati alla fine perché noi dovevamo giocarci qualcosa di importante. Che dovevamo ambire al meglio, la mia squadra doveva capire subito il valore che avevamo e poi il sogno. Se uno non sogna e non lavora non arriva da nessuna parte”.

 

Sicuramente il sogno non ci manca. La Vis Pesaro lo sta vivendo e comunque vada rimarrà la gioia dei tifosi, il coinvolgimento della città con presenze al Benelli che non si vedevano da lustri, la qualità di un gioco che diverte e coinvolge, l’affetto per la squadra che esprime carattere e dedizione totale ai colori biancorossi. Grazie mister Sassarini e buon lavoro!

 

Luciano Bertuccioli

 

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